Carissimi lettori, io avevo promesso che non avrei mai più aggiornato i miei blog, ma oggi sono stato indotto a farlo, perché condivido solo in parte ciò che il Santo Padre ha detto per la S. Sindone nella sua meditazione, dopo averla venerata.
Meditazione di Benedetto XVI, letta ai fedeli in occasione del suo pellegrinaggio alla S. Sindone di Torino
Cari amici, questo è per me un momento molto atteso. In un’altra occasione mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.
Si può dire che la Sindone sia l’icona di questo mistero, l’icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di Marco, e con lui concordano gli altri evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.
Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme… Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.
Cari fratelli, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.
E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.
In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. È successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.
Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore.
Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati – “Passio Christi. Passio hominis” – promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. È come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.
Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità.
La lettera che leggeremo sotto rivolta al Santo Padre, papa Benedetto XVI, non vuole essere una polemica contro di lui ma un'opinione del tutto personale, di un ricercatore che si occupa dello studio della S. Sindone di Torino e del Volto Santo di Manoppello, sull'eccezionale importanza che queste sante immagini hanno per la Santa Chiesa. Chissà, magari un giorno, questa diversa lettura sul Volto della S. Sindone e sul Volto Santo potrà anche rivelarsi costruttiva, al fine di far emergere la verità su una luce metafica, e quindi divina riportata inconfutabilmente anche dai Vangeli, che ha segnato la storia del Gesù storico.
Antonio Teseo
Caro Santo Padre papa Benedetto XVI,
Che la S. Sindone sia un'icona scritta col sangue, è vero; ma che il volto di Gesù ivi impresso sia di un cadavere, questo per me non è affatto vero. Figuriamoci se Dio Padre ci voglia far meditare qui sulla terra il volto cadaverico del Suo Figlio; e che speranza darebbe al suo popolo di questa generazione, quello di mostrarci un giorno il Cristo Risorto con il volto da morto?
Gesù, invece, come leggiamo anche nell'episodio di Lazzaro, ci ha dimostrato che Egli è il Cristo Vivente anche per i morti, e che il Suo Volto è sempre e solo luce; mai buio, tenebra o nascondimento. Lo Spirito del Padre è lo stesso Spirito del Figlio "alfa e omega". Se, dunque, con la morte in croce di Gesù, il Suo corpo prima della risurrezione era di un cadavere, il Suo Spirito, invece, non era morto con esso. Di Gesù non è risorto il Suo Spirito Santo (fonte e alito di Vita Eterna), ma nella luce è risorto "il Suo Corpo Incorrotto e la Sua Anima Santa". Come figli di Dio, allora, creati a Sua Immagine e Somiglianza, il nostro spirito, il nostro corpo e la nostra anima sono inscindibili "alla luce del Signore": ecco perché, se faremo sempre la Sua volontà e ci ciberemo sempre del Suo Pane di Vita Eterna (Eucaristia), un giorno diventeremo come degli angeli nella luce del Signore, per Cristo, con Cristo ed in Cristo.
Carissimo Santo Padre, se si leggono attentamente i Vangeli, si comprende che mentre i tre evangelisti sinottici ci parlano sinteticamente dell'atto terminale della sepoltura del corpo di Gesù, pronto per essere posto nella tomba avvolto con una sindone, il quarto evangelista Giovanni, invece, menziona anche un sudario che fu posto sulla faccia del Signore (rif. Gv. 11, 44; Gv. 20, 7-8), prima che il corpo fosse avvolto con il lenzuolo, perché egli fu testimone oculare di quando il cadavere fu preparato per la sepoltura secondo l'usanza dei giudei. "Giuseppe d'Arimatea, uomo ricco e discepolo di Gesù, aveva fatto portare da Nicodemo un grosso quantitativo di unguenti e di oli profumati e aveva usato il telo della S. Sindone di Torino e quello di Manoppello per onorare e ornare colui che era considerato dai discepoli "il Re dei Giudei". In origine, dunque, il famoso Sacro Mandylion comprendeva questi due teli finissimi e preziosi (Lc. 16,19) .
Quando nel terzo giorno dalla morte di Gesù, Pietro e Giovanni si recarono al sepolcro, videro il sudario, che solo Giovanni sapeva come era stato posizionato, non nel posto che gli competeva (probabilmente il velo di Manoppello era al di sopra del lenzuolo "sindone" come possiamo osservare anche nella raffigurazione del Codex Pray, Budapest (1192-1195), perché quella era la prova di un intervento divino con il quale Cristo aveva avuto il controllo assoluto sulla materia. Nel suo Vangelo, l'apostolo Giovanni non poté rivelare che cosa vide impressionato su quel bisso, perché si doveva attenere alla legge deuteronomica relativa all'idolatria; tuttavia egli lanciò un messaggio, avvolto nel mistero, per dire che per mezzo di esso lui era certo di credere nella risurrezione di Cristo. Oggi, noi invece possiamo contemplare in tutto il suo splendore il contenuto di queste sante immagini (del Volto Santo e della S. Sindone) alla luce dei Vangeli, perché Dio Padre ha glorificato il Volto della Redenzione e il Volto della Risurrezione di Cristo, suo Figlio".
Il sudario, ai tempi di Gesù, era un pezzo di stoffa che usavano i romani per asciugarsi il volto; ma era anche un drappo di tessuto, lungo circa 1 m. x 1 m. che veniva posto dagli ebrei sul capo di un morto, durante il procedimento di sepoltura.
Quindi, Santo Padre, prima di far credere al popolo di Dio che il volto di Gesù della S. Sindone sia relativo ad un cadavere, io credo che bisogna innanzitutto osservarlo bene, al fine di trovarvi elementi che magari rimandano ad un' immagine che si sarebbe ancor prima impressionato su un sudario. Sudario, che noi ritroviamo nel Volto Santo di Manoppello, "originariamente questo velo di bisso era proprio della misura di circa 1 m. x 1 m, ma poi nel XVIII sec. fu ritagliato da un Cappuccino di Manoppello e ridotto nella misura di 17 x 24 cm. come lo vediamo oggi racchiuso tra due vetri nell'ostensorio (rif. alla Relazione Istorica scritta da P. Donato da Bomba)" immagine raffigurante il Cristo Vivo e Risorto, perché, se sovrapposto, ci fa comprendere al meglio quella che invece è una figura indefinita sempre dello stesso Viso (Volto della S. Sindone).
Come ho più volte detto nei miei
blog, le riproduzioni fotografiche
della S. Sindone e del Volto Santo
di Manoppello dovrebbero essere
venerate insieme in tutte le chiese
cristiane, perché esse ci permettono
di contemplare il Volto di Cristo
Pane della Vita Eterna
"S.S. Sacramento".
Nel Volto Santo e nel Volto della
S. Sindone, infatti, non contempliamo
soltanto il Volto della Passione e della
Risurrezione di Gesù Vivo, ma anche
l'espressione della Sua Umiltà, della
Sua Dolcezza, della Sua Grazia,
della Sua Mitezza, della Sua
Misericordia, del Suo Amore,
che devono ritrovarsi nel DNA
e nel cuore di ogni vero cristiano.
Questo Volto, come leggiamo nel
Vangelo del giorno (02/05/2010),
fu glorificato dal Padre nell'ultima
cena "come segno di redenzione,
perché proprio da quel momento
ebbe inizio la Passione di nostro
Signore Gesù e che ebbe poi fine
con la Sua Risurrezione dai morti".
Tutto ciò che contempliamo in questo
Volto noi lo meditiamo anche in
quello di Maria Santissima, serva
umile di nostro Padre.
Io sono dell'avviso che la Chiesa
non debba fossilizzarsi a pensare
quasi sempre alla morte in croce
di Gesù, come l'unico segno di
redenzione per l'ego della persona;
ma debba invece "Lodare,
Onorare e Glorificare"
in continuazione il Volto del
Vivente, occuparsi con ciò di
contemplare i volti di coloro
che soffrono, prestando loro aiuto,
e credere e sperare sempre nella
Gloria Eterna del Signore, fonte di
luce e di salvezza.
Santità
La S. Sindone di Torino non è per me
l'icona del Sabato Santo, bensì è l'icona
della Santa Domenica di Pasqua perché
il Volto reca l'immagine del Volto Santo
di Manoppello, figura proiettata ed
impressionata prima sul Sudario dalla
luce del Volto Vivo e Vero del Risorto.
Il velo di bisso del Sudario, come ci
ricorda Giovanni nel suo Vangelo,
fu posto sul capo di Gesù cadaverico
deposto dalla croce, il cui corpo fu poi
avvolto con una Sindone come
invece ci ricordano nei loro Vangeli i sinottici.
Antonio Teseo
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